
A vederli da vicino, gli insetti, allontanate paure, fobie e ripugnanza, sono di una bellezza stupefacente.
Sono in assoluto gli esseri viventi esteticamente più belli della terra per eleganza e complessità di figure.
Le mosche, in modo particolare. Hanno colori e forme accomunabili a livree di re e di papi, armature forti e cangianti di eserciti e di principi della guerra, occhi composti dalla geometria singolare e perfetta.
Eppure le mosche si sporcano, si nutrono di escrementi, cercano la putrefazione, depongono e si riproducono nella decomposizione.
Più semplicemente ci infastidiscono con la loro insistenza, e la nostra repulsione diventa anche la loro condanna. E un po’ anche la nostra.
Questo inaspettato binomio bellezza/ribrezzo al tempo dei social, dove la bellezza è sempre associata ad un atto di seduzione, mi ha spinta in un gioco di curiosità prima, di accettazione durante e di metamorfosi, poi.
È in mondi dorati, metallizzati e cangianti che si nasce come piccole forme di vita ancora gelatinose, ci si sviluppa, si posa un po’ imbarazzati con le ali sproporzionate dai colori vividi per una foto ricordo ai nonni lontani, per un sorriso al proprio amato a cui si mandano milioni di occhi innamorati.
Ed infine, perché la vita finisce in un battito d’ali, un post mortem con la vestina bella e le zampine magre.